Avrei da sempre voluto scrivere un libro. È sempre stato il mio pallino, sin da piccolina in cui inondavo i miei genitori di lettere e poesie. E anche da grande ho sempre avuto un diario, la mia vita era racchiusa sempre in un quaderno e i miei pensieri sono sempre stati inchiostro. Non parlavo, scrivevo. Anche con le mie amiche più care, soprattutto la mia adorata ai tempi delle superiori, condividevo un diario, un quadernone. Io scrivevo lì dentro tutti i miei pensieri e lei faceva altrettanto. Erano segreti, erano racconti di episodi buffi, erano pianti, erano urla disperate a volte, ma erano le nostre parole non dette, eravamo noi. Di lei potevo fidarmi.
Si dice che “Il corpo grida quello che la bocca tace… la malattia è un conflitto tra la personalità e l’anima. La malattia non è cattiva, ti avvisa che stai sbagliando cammino” (Alejandro Yodorowsky).
Non sono mai stata un’adolescente felice e spensierata come lo ero da bambina. Il mio essere insicuro, insoddisfatto, la mia paura di non essere adeguata in qualsiasi situazione, la mia ricerca di attenzioni, mi hanno portata a crearmi in continuazione disagi e malesseri, per essere notata e per dare un senso al mio esistere. Ho sempre sentito forte il mio silenzio, il mio trattenere i pensieri, l’essere stata la brava bambina di casa, o la “donnina di casa” come mi chiamava mia mamma. Il mio vivere interiormente e con tormento era così tanto rimbombante nel mio corpo, ma non traducibile con le parole. L’accondiscendere, l’assecondare e poi l’esplodere in poesie suicide ai tempi delle superiori, il disgusto nei confronti di me stessa, l’anoressia, la bulimia, le sedute psichiatriche, quella perenne sensazione di non essere compresa, i tagli sulle braccia, la poca fiducia nelle relazioni, i capricci per essere considerata. Il mio corpo era probabilmente stufo di lanciarmi segnali senza che venissero colti e così improvvisamente 15 anni fa ha iniziato a urlare a squarciagola e come l’acqua che piove sopra le nostre teste quando facciamo la doccia, così i miei capelli e tutti gli altri peli sono piovuti via dal mio corpo. In un momento, rapidamente, non c’era più nulla che mi coprisse, ero nuda, ero spaventata, ero inerme con le spalle al muro. Un messaggio chiaro e deciso “Vale, deponi le armi e buon viaggio!!”
Mi spiegano che si tratta di alopecia areata. Google mi dà troppe informazioni, sono confusa e molto preoccupata perché capisco che è una cosa che esiste ma nessuno mi sa dire perché, a cosa sia dovuta mentre ogni link sembra avere la propria cura miracolosa. Arrivo solo ad un termine…Alopecia! Non elenco neanche tutte le cure provate, tra cui un intervento di chirurgia plastica a causa di un effetto di un farmaco per la cui assunzione non mi erano state date istruzioni e che mi ha creato danni ingestibili a livello estetico e non solo sui glutei, le gite da medici fuori porta, i negozi e i siti di parrucche e turbanti visitati, i look nude,…
Non mi ero mai accettata fino ad allora, sono sempre stata molto critica con me stessa. Non mi piacevo, non mi ero mai piaciuta, ho sempre voluto essere qualcun altro. Non mi conoscevo, né riuscivo a decifrarmi. Tanta confusione, troppa emotività, tanta insicurezza e la mia bellissima me imprigionata e affossata dalle sue stesse paure e dalla sua scarsissima autostima e amore nei propri confronti. Ma andavo avanti, vivevo tutto, affrontavo tutto. Sicuramente mi sono fatta piacere molto tante cose che in realtà mi toglievano solo tanta energia e mi allontanavano sempre più da me stessa.
Un giorno quasi per caso in una libreria vengo attratta da un libro, la PNL. Inizio a leggere parecchio sulla programmazione neurolinguistica e me ne appassiono. Tutto ciò che ora aveva il potere di attrarmi aveva a che fare con qualcosa di più sottile ma di decisamente più decifrabile per me..erano termini che risuonavano ovunque e di cui riuscivo ad accorgermi.. ”consapevolezza, ricerca del Sé, interiorizzazione, ascolto del corpo…
Il mio sguardo cambia rotta e non è più rivolto ai medici ma ai pranoterapeuti, al buddismo giapponese, a letture che avevano a che fare con la persona intesa come oltre il corpo fisico, a qualcosa che avesse un gusto più naturale ed esoterico, coinvolgendo anche la mia alimentazione, passando così al desiderio di nutrire il mio corpo in modo sano ed equilibrato. Inizio ad avvicinarmi a tutto quanto ha un retrogusto di ‘presa di consapevolezza di se stessi’. Un libro, una frase, un corso, un sogno. Mi lasciavo attrarre da tutto quanto sentivo potesse aiutarmi a comprendere e avvicinarmi ad uno stile di vita differente, che potesse fami cambiare rotta e imboccare una strada nuova, di rinascita. Più trascorrevano i giorni, le settimane, gli anni diventavo ricettiva verso qualsiasi segnale che la vita mi donava. Perché non capivo e cercavo un senso, perché sono una donna, perché le donne hanno i capelli, si pettinano e si fanno la ceretta. Perché non avevo colto negli anni precedenti altri segnali di disagio che il mio corpo mi urlava seppur meno strazianti? Perché questo denudarmi così brusco e violento? Avevo però riconosciuto e ammesso che qualcosa andava cambiato, che la mia disattenzione verso me stessa e la leggerezza di vivere inconsapevolmente in realtà erano diventate macigni pesantissimi. E sono tutt’ora convinta che una ragione ci sia e che sia stato solo un bene, uno schiaffo per risvegliarmi dal torpore di una vita vissuta senza la mia presenza. Ovunque mi sia girata vedevo chiaramente questo: sono stata io e solo io l’artefice di tutto ed era arrivato il momento di accettare e affrontare la situazione chiedendo come prima cosa perdono a me stessa.
Sprovvista di dettagliate tabelle di marcia su come procedere, ho sentito che dedicare sempre più spazio, anche durante il giorno, a me, alla cura di me, ad amarmi e rispettarmi potesse essere un buon inizio. Ricordo che tra le prime cose a cui mi sono dedicata è stato essere più gentile nel parlare a me stessa. Mi rendevo così sempre più conto di quanto fossi più propensa ad ascoltare e a rispettare sempre di più gli altri. Le sberle nella vita le prendiamo tutti e alcune lasciano segni profondi ma nessuno ha diritto di giudicare l’altro o di esserne totalmente indifferente. Così come io ero speciale anche gli altri lo erano. Ognuno di noi ha una storia diversa, ha ricevuto sberle più o meno forti e la vita dà sempre la possibilità di cogliere queste antipatiche occasioni per rivedere anche il proprio atteggiamento nei confronti della vita, delle cose e delle persone. Insomma, uno dei primi insegnamenti ricevuti è stato quello di sorridere a me stessa e agli altri. Non c’ero più solo io e il mio mondo di “a me non capita nulla, la mia vita inconsapevole mi fa comunque andare avanti”.
“La causa continua a lavorare e a propagarsi proprio come un’erbaccia che viene tagliata senza estirparne le radici. Trascorro anni e anni cercando da una parte di sistemare la mia immagine e nel frattempo inizio seriamente ad ascoltare ciò che ribolle all’interno. Suoni non ancora quieti, ma che piano piano riescono ad illuminare me in modo che io possa vedere che la bellezza è altro, che le mie insicurezze sono virtù, che io sono altro, che io posso altro. Tutto ha senso e proprio grazie a quanto ho vissuto finora la mia vista si è affinata, ogni mio senso si è affinato e sono più ricca. Ho con me un bagaglio prezioso con l’occorrente per il mio viaggio alla scoperta e alla realizzazione di Me. “Ammalarmi” è stata la mia grande occasione e lo Yoga il mio compagno di viaggio preferito.
Mi amo.
Namasté